titolo 3° - RAPPORTI CON IL CITTADINO
Il medico deve fornire al paziente
la più idonea informazione sulla diagnosi, sulla prognosi, sulle
prospettive e le eventuali alternative diagnostico-terapeutiche e sulle
prevedibili conseguenze delle scelte operate; il medico nell’informarlo dovrà
tenere conto delle sue capacità di comprensione, al fine di promuoverne la
massima adesione alle proposte diagnostico-terapeutiche.
Ogni
ulteriore richiesta di informazione da parte del paziente deve essere
soddisfatta.
Il medico deve, altresì, soddisfare le richieste di
informazione del cittadino in tema di prevenzione.
Le informazioni
riguardanti prognosi gravi o infauste o tali da poter procurare preoccupazione e
sofferenza alla persona, devono essere fornite con prudenza, usando terminologie
non traumatizzanti e senza escludere elementi di speranza.
La
documentata volontà della persona assistita di non essere informata o di
delegare ad altro soggetto l’informazione deve essere rispettata.
Commento:
L’art. 30 apre una serie di
articoli dedicati agli attualissimi problemi dell’informazione e del
consenso.
Come è noto, si tratta di argomenti di strettissima attualità su
cui è tuttora in corso un appassionato dibattito non soltanto fra i cultori
della deontologia, ma anche a livello filosofico e politico.
Del resto sono
note le polemiche, parzialmente ancora in corso, derivanti dagli orientamenti
giurisprudenziali sempre più consolidati che hanno legato le responsabilità del
medico alla necessità dell’acquisizione del consenso del cittadino per quanto
riguarda l’attività terapeutica.
L’art. 30 obbliga il medico alla
informazione più ampia ed idonea per quanto riguarda prognosi, prospettive,
eventuali alternative diagnostiche e terapeutiche e conseguenze delle scelte
operate.
L’articolo, inoltre, riconferma il compito di assicurare
l’informazione facendo riferimento alle capacità di comprensione del cittadino.
E’ ovvio che diversi saranno i criteri che il medico dovrà seguire per adeguare
l’informazione allo status del soggetto che la stessa dovrà ricevere.
L’informazione, infatti, dovrà assumere connotazioni diverse, potrà essere
fornita, se necessario, con gradualità a seconda delle condizioni oltre che
fisiche e psicologiche anche socio-culturali del malato.
Viene anche
confermata la necessità di una particolare prudenza e l’uso di terminologie non
traumatizzanti allorchè sia necessario informare il cittadino su prognosi gravi
o infauste o, comunque, tali da procurare preoccupazioni e sofferenze alla
persona.
Particolarmente importante è la opportunità, in ogni caso, di non
escludere la speranza per non lasciare solo con la propria disperazione il
cittadino malato.
L'informazione è il presupposto indefettibile per la
espressione del consenso da parte del paziente.
Perchè l'informazione in
campo clinico risulti realmente efficace al fine suddetto è necessario che essa
venga fornita secondo modalità adeguate alla formazione culturale, alla capacità
di comprensione e allo stato psichico del paziente.
Nel presente codice è
stato operata una scelta di fondo a favore dell'informazione al paziente per
quanto attiene alla diagnosi, alla prognosi alle prospettive e alle conseguenze
delle proposte terapeutiche, con una significativa modifica, rispetto al codice
previgente, a favore di un'informazione veritiera, pur fornita con tutte le
necessarie accortezze, anche d'ordine terminologico e psicologico, riguardo a
prognosi gravi o infauste.
Tale scelta è il risultato di un dibattito
approfondito che si svolge tuttora sulla opportunità di fornire al paziente,
sempre e comunque, informazioni veritiere sul suo stato, recependo le
indicazioni formulate in materia dal C.N.B. (documento Informazione e consenso
all'atto medico - 20 giugno 1992) ed aderendo all'orientamento prevalente in
ambito sociale.
I termini della questione e dei diversi punti di vista sono
numerosi e tutti rilevanti.
L'orientamento nell'ambito del quale vanno
inquadrate le norme del presente articolo riconosce, come fondamentale, il
diritto alla verità che implica una concezione dell'uomo come responsabile delle
proprie azioni e che si configura come condizione essenziale per l'esercizio
della libertà.
Tale verità, in campo medico, non può tradursi come semplice
e fredda trasmissione di dati clinici. Come è dato evincere dalla stessa
formulazione dell'articolo in esame, assumono particolare rilevanza le modalità
di comunicazione dell'informazione.
L'art. 30, è in linea, come detto, con le
indicazioni del C.N.B. secondo cui l'informazione deve essere:
a) adatta al
singolo paziente, in relazione alla sua cultura e alla sua capacità di
comprensione da un lato e al suo stato psichico dall'altro;
b) corretta e
completa circa la diagnosi, le terapie, il rischio, la prognosi".
Nella sua
articolazione detta norma, sinteticamente ed efficacemente, offre al medico le
chiavi per l'individuazione della linea di comportamento più idonea al caso
specifico.
Il problema più rilevante riguarda la comunicazione di prognosi
gravi o infauste nei confronti delle quali, al di là dei livelli culturali che
contraddistinguono i singoli malati, si registrano spesso atteggiamenti di
rifiuto, da parte degli interessati, a conoscere la verità.
La questione,
quindi, si sposta su come deve e può avvenire tale comunicazione, anche nei casi
più gravi. Ed a questo riguardo dalle norme dell'articolo in esame è possibile
trarre una serie di criteri cui il medico può fare riferimento per affrontare il
problema, specie nei casi più difficili, di comunicare la verità al paziente. In
particolare, secondo tali indicazioni, il medico deve compiere uno sforzo
intellettivo per conoscere e valutare nel modo più preciso la verità da
comunicare ed i possibili livelli secondo cui ciò può avvenire; deve
attentamente valutare le condizioni fisiche e psicologiche del paziente e le
possibili conseguenze sul soggetto. Tutto ciò presuppone l'instaurazione di un
forte e stabile rapporto medico-paziente fondato sulla fiducia reciproca.
In
tale contesto complessivo anche il problema più grave, e cioè quello attinente
al paziente che non vuole conoscere e sfugge la verità può assumere una diversa
connotazione per cui il medico può attuare nei confronti del malato una
rivelazione progressiva del suo stato "con un approccio graduale che tenga conto
volta per volta di ciò che il paziente desideri effettivamente sapere, ovverosia
quanta parte di verità egli sia in grado di sopportare, mantenendo un
atteggiamento il più possibile franco e corretto" (C.N.B.).
Si tratta, per il
medico, di instaurare una comunicazione della verità nell'ambito della quale
vengano interpretate e comprese le ansie del malato con atteggiamento di
solidarietà, al fine di far maturare nello stesso la consapevolezza e la
conseguente accettazione del suo stato.
Come evidenziato dal C.N.B.
"attraverso la somministrazione delle informazioni si profila il ritorno della
funzione del medico come elemento decisivo per la condotta del malato; "infatti
"nella amministrazione delle informazioni il medico ha ampi spazi di intervento"
in particolare nei casi di situazioni inguaribili egli "dovrebbe costruire le
alternative possibili e dare informazioni in modo che il paziente possa
scegliere quella che più gli si adatta".
Tali accorgimenti nella trasmissione
delle informazioni evidenziano come i comportamenti indicati dal codice siano
cosa diversa dalla mera e neutra sottoposizione al paziente di tutta
l'informazione disponibile, senza alcuna selezione o adattamento al caso
specifico, come in alcuni Paesi (v. USA) può accadere, ove risultino prevalenti
preoccupazioni di natura contrattualistica legate alla eventuale responsabilità,
che può derivare in sistemi assicurativi privati, da una non completa
informazione.
All'articolo in esame sottostanno diverse preoccupazioni tra
cui quella, non secondaria, di rendere possibile attraverso l'informazione
l'adesione del malato ad interventi terapeutici particolarmente pesanti in
termini di sofferenza fisica e psicologica.