titolo 3° - RAPPORTI CON IL CITTADINO

CAPO III - DOVERI DEL MEDICO VERSO I MINORI, ANZIANI E I DISABILI


Art. 29 Assistenza

Il medico deve contribuire a proteggere il minore, l'anziano e il disabile, in particolare quando ritenga che l'ambiente, familiare o extrafamiliare, nel quale vivono, non sia sufficientemente sollecito alla cura della loro salute, ovvero sia sede di maltrattamenti, violenze o abusi sessuali, fatti salvi gli obblighi di referto o di denuncia all’autorità giudiziaria nei casi specificatamente previsti dalla legge.
Il medico deve adoperarsi, in qualsiasi circostanza, perché il minore possa fruire di quanto necessario a un armonico sviluppo psico-fisico e affinché allo stesso, all'anziano e al disabile siano garantite qualità e dignità di vita, ponendo particolare attenzione alla tutela dei diritti degli assistiti non autosufficienti sul piano psichico e sociale, qualora vi sia incapacità manifesta di intendere e di volere, ancorché non legalmente dichiarata.
Il medico, in caso di opposizione dei legali rappresentanti alla necessaria cura dei minori e degli incapaci, deve ricorrere alla competente autorità giudiziaria.

Commento:
Il contenuto di questo articolo potrebbe apparire pleonastico considerato il dovere fondamentale di assistenza cui è tenuto qualsiasi medico nei confronti di qualsiasi cittadino
In realtà questo articolo, proprio perché volto a sollecitare una particolare attenzione assistenziale del medico nei confronti di soggetti deboli, amplia il dovere fondamentale del professionista in quanto lo connota di un elemento di carattere solidaristico-sociale che non deve essere visto da una prospettiva esclusivamente professionale di tipo tecnico-medica bensì deve essere esteso a tutti i comportamenti che possano andare anche oltre la competenza professionale specifica.
L’art. 29 in occasione della revisione del codice di deontologia medica è stato oggetto di un dibattito approfondito; per alcuni l’aver voluto sostituire il termine "impegnarsi a proteggere il minore" con "contribuire a proteggere il minore" potrebbe aver avuto il significato di una sorta di diminuzione di responsabilità del medico stesso. Nella realtà però il termine contribuire è da intendersi in senso solidaristico: al fine di evidenziare che l’attività del medico, finalizzata agli obiettivi sopra citati, deve inserirsi in un contesto più ampio che vede coinvolti nella tutela dei soggetti deboli altre strutture di carattere sociale, altri soggetti, altri operatori dall’ordinamento stesso individuati.
Deve respingersi l’ipotesi di una deresponsabilizzazione in quanto, oltre ad essere ampliate le fattispecie che costituiscono per il medico motivo di intervento, è stato volutamente esplicitato che il medico dovrà adoperarsi in qualsiasi circostanza affinché il minore possa fruire di quanto necessario al suo armonico sviluppo.
Nelle norme contenute nel presente articolo si rispecchia una concezione del ruolo del medico non ristretto al solo ambito della tutela della salute. Viene, infatti, delineata, nei confronti delle categorie più deboli, cioè dei minori, degli anziani e dei portatori di handicap, una funzione del medico di tutela ben più ampia, che abbraccia, oltre alla salute, le stesse condizioni di vita, allorchè possano incidere negativamente sulla qualità e dignità dei soggetti su indicati.
L'esercizio professionale della medicina diventa, in questa prospettiva, l'occasione e lo strumento di rilevazione di situazioni familiari, sociali e/o ambientali in cui versano soggetti particolarmente deboli che, oltre ad incidere negativamente sulla salute di costoro, ne compromettono, come detto, la qualità e dignità di vita.
In tali ipotesi il medico deve farsi attivo promotore di iniziative volte a rimuovere dette condizioni; iniziative che, secondo la sua valutazione, dovranno coinvolgere la famiglia o nei casi più gravi anche organi pubblici di assistenza sociale o in caso di maltrattamenti o violenza o di opposizione dei legali rappresentanti alle cure necessarie a minori e incapaci, anche l'autorità giudiziaria o di polizia.
Quello fissato nell'articolo in esame è un dovere ulteriore e diverso da quelli sanciti dalla legge nelle ipotesi in cui questa fissa per il medico obblighi di referto o di denuncia.
Va sottolineato come la funzione attribuita al medico dalle norme di questo articolo ponga lo stesso nella delicata posizione di dover valutare quando la situazione in cui versino determinati soggetti sia tale da richiedere, da parte sua, oltre che la violazione del segreto professionale e del principio di riservatezza, anche un intervento non limitato alla sfera della salute dei soggetti medesimi, ma diretto anche alle sfere più delicate dell'intimità familiare, con possibili conseguenze spiacevoli d'ordine giuridico (querele per diffamazione ecc.); è questa una precisa scelta culturale e di civiltà secondo principi di attiva solidarietà cui l'esercizio della professione medica deve conformarsi a sostegno di chi è pressoché privo di difesa.