Il medico deve tutelare la riservatezza dei dati personali e
della documentazione in suo possesso riguardante le persone anche se
affidata a codici o sistemi informatici.
Il medico deve informare i
suoi collaboratori dell'obbligo del segreto professionale e deve vigilare
affinchè essi vi si conformino.
Nelle
pubblicazioni scientifiche di dati clinici o di osservazioni relative a singole
persone, il medico deve assicurare la non identificabilità delle
stesse.
Analogamente il medico non deve diffondere, attraverso la
stampa o altri mezzi di informazione, notizie che possano consentire la
identificazione del soggetto cui si riferiscono.
Commento
L’impianto dell’art. 10, che
tratta del dovere fondamentale del medico di tutelare e garantire la
riservatezza della documentazione in proprio possesso, viene nel nuovo codice di
deontologia medica, semplicemente aggiornato e connesso alla nuova disciplina
della privacy introdotta con la legge n. 675 del 1996.
Il titolo
dell’articolo, infatti, viene ampliato in "Documentazione e tutela dei dati"
proprio per sottolineare come - finalmente - l’Italia, mettendosi al pari con
gli altri paesi europei ed extraeuropei, abbia inteso tutelare l’ambito dei dati
cosiddetti sensibili, ossia di quei dati che riferendosi alla sfera più intima
dell’individuo non devono correre il rischio di essere utilizzati in maniera
distorta o, comunque, illegittima.
Il primo comma dell’articolo, risentendo
di questa nuova disciplina, sottolinea la necessità per il medico di tutelare la
riservatezza di questi dati personali e di tutta la documentazione a lui stesso
affidata.
E’ stato volutamente eliminato in questo articolo il riferimento
alla diffusione dei bollettini medici, problema che, proprio perché legato alla
nuova disciplina in tema di privacy, si è voluto spostare all’articolo
successivo, in quanto la situazione è sembrata più aderente a quella ivi
descritta.
L’art. 10, come il precedente articolo, costituisce
un'applicazione del c.d. principio della riservatezza che impronta di sè tutta
la materia deontologica. In quest'articolo si fa specifico riferimento
all'obbligo di conservare e custodire la documentazione clinica riguardante i
pazienti garantendone la riservatezza. Ovviamente tale documentazione
costituisce il supporto necessario per la diagnosi, cura e terapia del malato e
pertanto non devono esservi altri interessati oltre al medico o ai medici
curanti.
Indubbiamente una violazione del rapporto fiduciario che lega il
medico al paziente influirebbe in modo negativo anche sulla prestazione
professionale in quanto si introdurrebbero degli aspetti di reticenza da parte
del malato timoroso di veder resi pubblici fatti e circostanze che preferirebbe
mantenere riservati. L'introduzione anche nel campo sanitario dell'informatica
rende ancora più delicato questo problema e obbliga il medico a vigilare con
particolare attenzione sulla riservatezza delle informazioni di cui fatalmente
entra in possesso.
Il medico con il progredire dei tempi sempre più
facilmente opera in collaborazione con colleghi o con altre figure professionali
(infermieri, tecnici etc.).
E’, peraltro, innegabile che la pubblicazione di
interessanti esperienze medico-scientifiche rappresenta una garanzia
fondamentale per il progresso della medicina. Anche in questa situazione si
scontrano due interessi confliggenti: quello alla riservatezza del paziente che
costituisce l'oggetto della pubblicazione e quello alla divulgazione scientifica
dei dati e delle osservazioni ai fini del progresso della scienza medica. In
questo caso (si ricordi che l'art. 9 della Cost. si preoccupa di tutelare la
ricerca scientifica e tecnica) prevale il secondo interesse che deve però essere
contemperato con il primo. Il medico deve, pertanto, prestare la massima
attenzione affinchè dai dati e dalle osservazioni non sia possibile
l'identificazione dei soggetti curati.
Lo stesso principio sussiste con
maggior asprezza nei rapporti tra medico e mass media. Molto spesso, infatti,
personaggi pubblici rischiano di veder pubblicate o comunque diffuse notizie
riguardanti la loro malattia con rilevante danno alla loro sfera di intimità ed
anche alla loro dignità personale. E' ovvio che il medico, per quanto in suo
potere, non può rendersi colpevole di questi comportamenti ed è tenuto anche a
vigilare sui propri collaboratori affinchè non trapelino notizie che possano
danneggiare la riservatezza cui ha diritto anche la persona
pubblica.