-Il medico deve mantenere il segreto su tutto ciò che gli è
confidato o che può conoscere in ragione della sua professione; deve, altresì,
conservare il massimo riserbo sulle prestazioni professionali effettuate o
programmate, nel rispetto dei principi che garantiscano la tutela della
riservatezza.
La rivelazione assume particolare gravità quando ne
derivi profitto, proprio o altrui, o nocumento della persona o di
altri.
Costituiscono giusta causa di rivelazione, oltre alle
inderogabili ottemperanze a specifiche norme legislative (referti, denunce,
notifiche e certificazioni obbligatorie):
a) - la richiesta o l’autorizzazione da parte della persona assistita o del suo legale rappresentante, previa specifica informazione sulle conseguenze o sull’opportunità o meno della rivelazione stessa;
b) - l’urgenza di salvaguardare la vita o la salute dell’interessato o di terzi, nel caso in cui l'interessato stesso non sia in grado di prestare il proprio consenso per impossibilità fisica, per incapacità di agire o per incapacità di intendere e di volere;
c)- l'urgenza di salvaguardare la vita o la salute di terzi, anche nel caso di diniego dell'interessato, ma previa autorizzazione del Garante per la protezione dei dati personali.
La morte del paziente non esime il medico dall’obbligo del
segreto.
Il medico non deve rendere al Giudice testimonianza su ciò
che gli è stato confidato o è pervenuto a sua conoscenza nell’esercizio della
professione.
La cancellazione dall'albo non esime moralmente il medico
dagli obblighi del presente articolo.
Commento
L’art. 9 dedicato al segreto
professionale è stato sostanzialmente modificato dal nuovo testo in
considerazione anche della sopravvenuta approvazione della legge n. 675 del
1996, che istituisce l’Autorità del Garante per la tutela dei dati personali.
Come è noto il segreto professionale è tradizionalmente uno dei doveri
fondamentali del medico e una delle regole essenziali della deontologia.
La
nuova legge, quindi, non costituisce altro che un rafforzamento dei compiti che
già il medico era tenuto a osservare per quanto riguarda la tutela dei dati e
delle notizie relative ai propri pazienti. A questo riguardo occorre notare come
tra le cause che costituiscono "giusta causa" di rivelazione del segreto
professionale è stato aggiunto un punto c) che prevede la possibilità di
derogare alle norme sul segreto professionale, laddove esista l’urgenza di
salvaguardare la vita o la salute di terzi anche in caso di diniego
dell’interessato, ma previa autorizzazione del Garante per la protezione dei
dati personali.
Si è inteso con tale modificazione sancire che, per la deroga
al segreto professionale, è necessario sia l’urgenza di salvaguardare la vita o
la salute di terzi sia l’autorizzazione del Garante. Questa autorizzazione può
discendere sia dal provvedimento generale (autorizzazione n. 2 del 1997) sia da
una richiesta specifica che il medico può inoltrare.
Un’altra modifica
rispetto alla precedente stesura dell’art. 9 concerne l’ultimo comma che
sancisce " La cancellazione dall'albo non esime moralmente il medico
dagli obblighi del presente articolo" . Si è voluto specificare, con la massima
chiarezza, un concetto che pure poteva ritenersi per certi versi implicito anche
nella precedente stesura dell’articolo.
Il medico, quand’anche cessasse la
propria attività e chiedesse la cancellazione dall’albo, non può ritenersi
esentato dal rispetto del segreto professionale. E’ questa una considerazione
abbastanza importante considerando che le rivelazioni concernenti la salute e i
dati sensibili di alcuni pazienti potrebbero riguardare, inoltre, soggetti molto
noti al pubblico e vi potrebbe essere un interesse economico per il medico,
anche se non più professionalmente in attività, a utilizzare alcune conoscenze
acquisite durante la propria vita professionale anche per scopi di lucro non
certo commendevoli.
Il segreto professionale, che, come è noto, è anche
previsto dal codice penale (artt. 326 e 622) è un obbligo imposto a determinati
professionisti di non divulgare notizie di cui sono venuti a conoscenza a
cagione della loro professione. E' chiaro che la norma penale si riferisce anche
ad avvocati, magistrati, commercialisti ed altri ma è altrettanto chiaro che per
il medico la problematica del segreto professionale è particolarmente importante
considerando la delicatezza del rapporto che si instaura fra medico e paziente.
Il segreto professionale viene definito dal punto di vista giuridico una
relazione che intercorre fra la conoscenza di cose e fatti e un determinato
soggetto.
Il paragone fra norma deontologica e norma penale, è indubbiamente
necessaria, ma occorre mettere in risalto alcune sostanziali differenze. Ai
sensi dell'art. 622 del codice penale, infatti, la rivelazione del segreto
professionale è punibile solo se ne possa derivare nocumento.
Il codice
deontologico, invece, nel confermare l'importanza strettamente etica del
principio stesso, non fa questa distinzione e prevede, quindi, la sanzionabilità
del comportamento del medico anche quando dalla rilevazione non derivi danno ad
alcuno.
Nel secondo comma dell'art. 9 è, peraltro, prevista la particolare
riprovazione della divulgazione del segreto professionale fatta a scopo di lucro
oppure al fine di arrecare specifico nocumento: ciò non toglie che la violazione
dell'obbligo sussista anche senza queste specifiche caratteristiche
dolose.
Un'altra distinzione da fare è quella concernente l'esimente generale
della giusta causa, prevista dall'art. 622 del c.p., e non dall'articolo 9 del
codice deontologico. Questa differenza porta molti a ritenere che anche in
questo caso la norma deontologica sia più rigorosa rispetto a quella penalistica
che, attraverso l'esimente della giusta causa, permette al professionista di
valutare i casi in cui possa ignorare l'obbligo del segreto professionale. In
realtà la dottrina prevalente (Lega, Introna etc.) ritiene che le deroghe
espresse sotto i punti a) e b) del terzo comma dell'articolo in commento
costituiscano non un sistema chiuso e tassativo, ma un'elencazione
esemplificativa passibile quindi di interpretazione estensiva quando sussistano
situazioni analoghe e similari.
In realtà, a prescindere dalla valutazione
che si voglia dare del problema, non può non sottolinearsi che anche in questo
caso il codice deontologico sembra obbligare il medico con estremo rigore al
rispetto del segreto professionale considerato uno dei cardini della professione
sin dai tempi del giuramento di Ippocrate.
Esaminando le deroghe previste dal
comma 2° dell'art. 9, del codice deontologico, occorre innanzi tutto chiarire
che il medico, in qualità di pubblico ufficiale o di incaricato di pubblico
servizio, è tenuto (v. artt. 331, 334, cpp e artt. 365, 384 c.p.) alla denuncia
del reato di cui sia a conoscenza per motivo della sua funzione o al referto
(cioè l'indicazione della persona alla quale è stata prestata assistenza, e, se
è possibile delle sue generalità del luogo dove si trovi attualmente e
quant'altro valga a identificarla nonchè del luogo, del tempo e delle altre
circostanze dell'intervento).
La denuncia e il referto devono essere portati
a conoscenza dell'autorità giudiziaria e quindi costituiscono indubbiamente
deroghe all'obbligo del segreto professionale. Il motivo è evidente e consiste
nell'assoluta priorità dell'esigenza di giustizia sulle pur importanti
motivazioni di riservatezza che costituiscono l'essenza dell'obbligo del segreto
professionale.
In alcuni casi, come specifica l'articolo, il medico è anche
tenuto ad alcune certificazioni obbligatorie o facoltative che possono
costituire anch'esse deroghe all'obbligo del segreto.
Il secondo tipo di
deroghe, quelle cioè previste dalla lett. b) del terzo comma dell'articolo in
commento, si basa sul c.d. consenso dell'avente diritto; cioè quando lo stesso
interessato (il malato o i legali rappresentanti del minore o dell'incapace)
autorizzi o addirittura richieda la divulgazione di notizie coperte dal segreto
professionale.
In questo caso si applica un principio generale della scienza
penalistica, previsto all'art. 5 del c.p. che testualmente prevede che "non è
punibile chi lede o pone in pericolo un diritto con il consenso della persona
che può validamente disporne". In buona sostanza non c'è miglior giudice di chi
eventualmente subirebbe il danno dalla rivelazione delle notizie da tenere
segrete sulla opportunità o meno della rivelazione stessa. Occorre al riguardo,
peraltro, precisare che a volte l'obbligo del segreto professionale è posto a
tutela di un interesse della collettività di cui neanche il paziente può essere
arbitro. Il medico, in questi casi, ancorché facoltizzato dal proprio paziente
alla rilevazione del segreto rimane titolare della decisione finale di divulgare
o meno la notizia secondo il proprio prudente apprezzamento.
Il sistema delle
deroghe, comunque, attribuisce al medico la valutazione sull'opportunità di
svelare il segreto quando sia in grave pericolo la salute o la vita di terzi. A
nostro avviso tale previsione, di carattere molto ampio, è pur sempre
applicabile in modo più restrittivo rispetto alla "giusta causa" prevista come
deroga dall'art. 622 del c.p..
La deroga di cui trattasi attribuisce al
medico la responsabilità di superare l’obbligo del rispetto del segreto quando,
a suo giudizio, esistano situazioni estremamente gravi che mettono a repentaglio
la salute e la vita dei terzi, ferma restando la preventiva autorizzazione del
Garante per la tutela dei dati personali, in relazione anche a quanto già
specificato.
L'obbligo della non divulgazione del segreto professionale
rimane a carico del medico anche dopo la morte del paziente a tutela del diritto
alla riservatezza di cui gli eredi sono i depositari secondo le normali regole
successorie quali ideali continuatori della personalità dello
scomparso.
L'ultimo comma dell'articolo in commento affronta una delle
problematiche più scottanti del rapporto fra deontologia medica e ordinamento
giudiziario. Tale comma prevede, infatti, il divieto per il medico di
testimoniare al Giudice su fatti di cui egli sia venuto a conoscenza per ragioni
dipendenti dall'esercizio della professione. E' necessario subito ricordare che
l'art. 200 cpp riconosce che i medici e gli altri esercenti le professioni
sanitarie non hanno l'obbligo di deporre su quanto hanno conosciuto in ragione
della loro professione. Si potrebbe quindi sostenere che non esiste un contrasto
esplicito fra norma deontologica e norma penale.
Bisogna però sottolineare
che, innanzi tutto, il segreto professionale trova già una limitazione
nell'obbligo di referto (art. 365 c.p.) che sussiste sempre tranne nei casi in
cui il referto stesso esporrebbe la persona assistita a procedimento penale. La
giurisprudenza, inoltre, è più volte intervenuta in materia riconoscendo, pur
tra qualche contrasto, la possibilità per il giudice di chiedere al medico di
testimoniare quando lo stesso giudice ritenga che i fatti di cui il
professionista è a conoscenza non siano legati allo svolgimento dell'attività
professionale in ragione del suo stato.