Il medico, nell'ambito della salvaguardia del diritto alla procreazione
cosciente e responsabile, è tenuto a fornire ai singoli e alla coppia,
nel rispetto della libera determinazione della
persona, ogni corretta informazione in materia di
sessualità, di riproduzione e di contraccezione.
Ogni atto medico
diretto a intervenire in materia di sessualità e di riproduzione è consentito
soltanto al fine di tutelare la salute.
Commento:
Il capo VII si apre con l’art.
40 che si riferisce al tema dell’informazione in materia di sessualità,
riproduzione e contraccezione.
Con tale articolo viene ribadito il compito
del medico di fornire ai singoli e alla coppia le informazioni necessarie in
materia di sessualità , di riproduzione e di contraccezione.
Rispetto alla
precedente stesura del codice del 1995 è interessante notare l’eliminazione
dell’inciso "nei limiti dell’attività professionale". Questo emendamento deve
essere letto nell’ottica, che informa tutto il nuovo codice, della
responsabilizzazione del medico, al di là di quelli che sono gli stretti e
specifici ambiti della propria attività professionale.
Dall'insieme della
disciplina dettata dal nuovo codice deontologico emerge una chiara impostazione
del riconoscimento della correttezza e doverosità di un comportamento del medico
volto a rendere i cittadini pienamente consapevoli ed effettivamente
responsabili delle opzioni fondamentali attinenti alla sfera della propria
salute.
Con riferimento specifico all'ambito della sessualità, della
riproduzione e contraccezione ciò si traduce nel dovere del medico di svolgere,
nell'espletamento della sua attività professionale, opera di informazione
indispensabile a rendere effettivo il diritto alla procreazione cosciente e
responsabile.
Da ciò la necessità e, quindi, l'obbligo del medico di fornire
tale informazione in modo corretto. Questo aggettivo riferito all'informazione
risulta forse più idoneo rispetto all"utile" rinvenibile nella norma
corrispondente del previgente codice.
Se, infatti, il concetto di utilità
presuppone una valutazione della situazione soggettiva ed oggettiva in cui
l'informazione viene data e, quindi, un adeguamento della stessa a detta
situazione secondo parametri che sono propri di chi opera tale adeguamento , la
correttezza, invece, rinvia ai soli dati obiettivi che connotano l'oggetto
dell'informazione che, pertanto, deve essere trasmessa per quello che è, senza
passare al vaglio di valutazioni ed attraverso gli adeguamenti soggettivi di chi
la fornisce.
Il riferimento alla corretta informazione in una materia quale
quella della sessualità, in cui oltre ai dati di valenza scientifica vengono in
rilievo importanti ed ineliminabili convincimenti e considerazioni d'ordine
morale religioso, appare, dunque, il mezzo più adeguato per rendere effettivo in
tale materia il principio sancito dal precedente art.17 che impone al medico,
nel rapporto con il paziente, il rispetto dei diritti fondamentali della persona
e, pertanto, vieta allo stesso di imporre le proprie opinioni morali o religiose
ed in genere la propria concezione della vita.
Sempre con riferimento
all'informazione in materia di sessualità, riproduzione e contraccezione, va
rammentato quanto al riguardo sancito dalla L. 194 del 22 maggio 1978 che
all'art. 5 fissa il dovere per il medico di fornire informazioni alla donna che
intenda effettuare IVG circa i diritti a lei spettanti e gli interventi di
carattere sociale cui può fare ricorso. L'art.14 ,inoltre, prevede che "il
medico che esegue l'interruzione della gravidanza è tenuto a fornire alla donna
le informazione e le indicazioni sulla regolazione delle nascite, nonchè a
renderla partecipe dei procedimenti abortivi, che devono comunque essere attuati
in modo da rispettare la dignità personale della donna."
Per quanto attiene
poi al precetto di cui al secondo comma del presente articolo, va precisato che
con esso si individua la tutela della salute, intesa nell'ampia accezione di cui
al secondo comma dell'art.3, quale finalità che renda leciti trattamenti medici
inerenti alla sessualità e riproduzione.
In tale previsione vanno ricompresi,
pertanto, gli interventi espressamente consentiti dalla legge e cioè
l'interruzione volontaria di gravidanza (L. n. 194 del 1978) e la correzione
della transessualità (L n.164 del 1982).
A tali trattamenti si aggiungono
poi, in termini problematici in mancanza di apposite discipline normative, la
sterilizzazione volontaria cui brevemente accenneremo di seguito, e la
fecondazione artificiale e l'ingegneria genetica , per le quali si rinvia agli
artt. 41 e 42.
Con riferimento alla sterilizzazione, va rammentato che
nell'ambito della stessa si distingue tra:
- sterilizzazione terapeutica,
diretta a risolvere problemi patologici attuali (lesioni neoplastiche) o
potenziali
- sterilizzazione eugenica, diretta a impedire la nascita di figli
colpiti da certe o probabili tare ereditarie
- sterilizzazione
anticoncezionale, motivata dal desiderio di evitare la procreazione.
Mentre
la sterilizzazione terapeutica, temporanea o permanente che sia o debba essere,
si connette alla normale potestà di curare, vengono avanzati dubbi sulla
legittimità giuridica della sterilizzazione anticoncezionale, specie se
permanente e irreversibile in quanto contraria al disposto dell'art. 5
c.c.
In stretta analogia con quanto è occorso per l'interruzione volontaria
della gravidanza, vi è chi sostiene che la legge di riforma sanitaria (23
dicembre 1978, n. 833), -estendendo il concetto di salute fino ad identificarlo
con quello di benessere da assicurare nel rispetto della dignità e della libertà
individuale- e la parallela legge sulla tutela della procreazione cosciente e
responsabile, abbiano creato spazi di legittimità e di liceità all'atto medico
sterilizzante. Esso, pertanto, verrebbe ad acquisire il significato di
intervento da attuare nell'ambito del S.S.N.