L’interruzione della gravidanza, al di fuori dei casi
previsti dalla legge, costituisce grave infrazione deontologica tanto più se
compiuta a scopo di lucro.
Il medico obiettore di coscienza, ove non
sussista imminente pericolo per la vita della donna, o, in caso di tale
pericolo, ove possa essere sostituito da altro collega altrettanto
efficacemente, può rifiutarsi d'intervenire nell'interruzione volontaria di
gravidanza.
Commento:
Questo articolo facendo
seguito all’impostazione generale sul tema del rifiuto d’opera professionale
disciplinato dall’art. 19, già commentato, prevede disposizioni particolari in
caso specifico dell’obiezione di coscienza derivate dalla richiesta di
interruzione volontaria di gravidanza. In questo caso viene utilizzata
correttamente la dizione obiezione di coscienza in quanto viene fatta propria la
terminologia legislativa prevista dalla legge 194 del 1978 che ha prodotto nel
nostro ordinamento la regolamentazione giuridica dell’interruzione volontaria
della gravidanza.
I principi della legge sono ripresi e confermati anche a
livello del codice di deontologia e pertanto l’osservanza della normativa in
materia consente al medico di operare senza timore di intercorrere in violazioni
etico-deontologiche.
L'interruzione volontaria di gravidanza non costituisce
violazione dei principi deontologici solo ove effettuata in conformità della
Legge vigente in materia (L.194 del 1978).
Tale intervento, come è noto, può
essere però rifiutato attraverso il ricorso all'obiezione di coscienza nei
limiti e secondo le modalità fissati dalla legge.
In ambito deontologico il
rispetto del sistema tracciato dalla legge fa assumere la connotazione di non
illiceità agli interventi di interruzione di gravidanza, mentre la
finalizzazione a scopo di lucro di prestazioni di tale natura operati al di
fuori della legge comporta un aggravamento ulteriore della violazione
deontologica.
Si ha, infatti, in tale fattispecie, una sorta di concorso
formale eterogeneo di violazioni deontologiche in quanto con una medesima azione
vengono ad essere violati più precetti che, nel caso specifico, sono quelli di
cui all'articolo in esame e agli artt. 3 e 4, concernenti l'indipendenza e la
dignità della professione.
Come annotazione finale va evidenziato che
nell'ultimo comma è previsto per il medico obiettore la facoltà di rifiutarsi di
intervenire nell'interruzione di gravidanza "se non sussista pericolo per la
vita della donna, o in caso di tale pericolo ove non possa essere sostituito
altrettanto efficacemente". Con tale norma si pone una disciplina specifica per
la fattispecie della IVG rispetto a quella generale sull'obiezione di coscienza
di cui all'art. 19, ove la legittima operatività della obiezione di coscienza
trova limite nella possibilità che l'atteggiamento del medico possa essere "di
grave e immediato nocumento al paziente".
Nella fattispecie in esame il
limite è spostato, invece, al pericolo imminente di morte. La ragione di tale
diversità va ricercata nel difficile bilanciamento di interessi, quelli della
madre e quelli del concepito, ritenuti dall'obiettore del tutto omogenei,
interessi che nell'interruzione volontaria di gravidanza vengono, ad avviso del
medico obiettore, a contrapporsi creando un drammatico conflitto di
coscienza.