titolo 4° - RAPPORTI CON I COLLEGHI

CAPO III - ALTRI RAPPORTI TRA MEDICI


Art. 63 Giudizio clinico- Rispetto della professionalità

I giudizi clinici comunque formulati, durante la degenza in reparti clinico-ospedalieri e in case di cura private e anche dopo la dimissione del malato, devono essere espressi senza ledere la reputazione professionale dei medici curanti.
La stessa condotta deve mantenere il medico curante dopo la dimissione del malato.

Commento:
L’art. 63 analizza una fattispecie deontologicamente riprovevole, quella dell’eventuale apprezzamento non corretto nei confronti del medico curante da parte dei medici delle strutture ospedaliere o private. Si tratta di un comportamento che lede il principio di colleganza che deve sempre improntare il rapporto tra colleghi.
Le eventuali divergenze riguardo a scelte terapeutiche dovrebbero inserirsi sempre all’interno di un dialogo privo di elementi di conflittualità in funzione del benessere della persona.
I principi di rispetto e collaborazione cui devono essere improntati i rapporti fra medico curante e medici ospedalieri trovano applicazione in ogni occasione e in ogni ambito. Il codice deontologico, attraverso la norma in commento, si sofferma specificatamente sulla questione estremamente delicata della formulazione (sia essa in forma scritta o semplicemente verbale) dei giudizi clinici. Tali giudizi riguardanti il malato durante il periodo di degenza ospedaliera non devono essere occasione per svilire la personalità e la professionalità del medico curante.
E' ovvio che in qualche caso gli orientamenti e le cure prestate dal medico curante possano essere ritenute non completamente rispondenti alle necessità del malato o addirittura errati. Queste eventuali divergenze di opinioni non devono però in nessun modo alimentari dubbi che ledano la professionalità del medico curante che, magari, proprio per uno spiccato senso di responsabilità ha ritenuto necessario chiedere il ricovero del proprio paziente per assicurargli la migliore assistenza possibile.
Può succedere, a volte, che, di fronte al malato stesso, i medici del reparto ospedaliero esprimano giudizi clinici che possono porre in cattiva luce la figura professionale del medico curante. Non devono certamente essere nascosti eventuali errori, ma è necessario che i medici ospedalieri sappiano comprendere le difficoltà che possono riscontrarsi per il medico curante nell'esprimere una diagnosi formulata senza l'ausilio di moderne tecnologie.
E' necessario formulare giudici clinici obiettivi e rispondenti al singolo caso ma è obbligo deontologico non avvilire la professionalità del medico curante che ha diritto di mantenere intatta la propria reputazione nei confronti dei pazienti verso i quali comunque ha prestato la propria opera.
A questo obbligo a carico dei medici ospedalieri e delle Case di cura corrisponde il correlativo dovere del medico curante che, dopo la dimissione del proprio paziente, non deve esprimere giudizi scorretti e di infondata critica nei confronti dell'opera prestata dai colleghi.
La norma deontologica non vuole, peraltro, essere un invito ad una "sorta di omertà" nei confronti dei colleghi che sbagliano ma costituisce solo un invito al reciproco rispetto. Si vuole contrastare, in buona sostanza, la tendenza, che a volte si manifesta fra colleghi, di avvilire l'operato degli altri quasi a voler far risaltare, per contrasto, la propria competenza professionale. Occorre essere consapevoli che in campo medico nessuno è depositario della verità assoluta.