I giudizi clinici comunque formulati, durante la degenza in reparti
clinico-ospedalieri e in case di cura private e anche dopo la dimissione del
malato, devono essere espressi senza ledere la reputazione professionale dei
medici curanti.
La stessa condotta deve mantenere il medico curante
dopo la dimissione del malato.
Commento:
L’art. 63 analizza una
fattispecie deontologicamente riprovevole, quella dell’eventuale apprezzamento
non corretto nei confronti del medico curante da parte dei medici delle
strutture ospedaliere o private. Si tratta di un comportamento che lede il
principio di colleganza che deve sempre improntare il rapporto tra
colleghi.
Le eventuali divergenze riguardo a scelte terapeutiche dovrebbero
inserirsi sempre all’interno di un dialogo privo di elementi di conflittualità
in funzione del benessere della persona.
I principi di rispetto e
collaborazione cui devono essere improntati i rapporti fra medico curante e
medici ospedalieri trovano applicazione in ogni occasione e in ogni ambito. Il
codice deontologico, attraverso la norma in commento, si sofferma
specificatamente sulla questione estremamente delicata della formulazione (sia
essa in forma scritta o semplicemente verbale) dei giudizi clinici. Tali giudizi
riguardanti il malato durante il periodo di degenza ospedaliera non devono
essere occasione per svilire la personalità e la professionalità del medico
curante.
E' ovvio che in qualche caso gli orientamenti e le cure prestate dal
medico curante possano essere ritenute non completamente rispondenti alle
necessità del malato o addirittura errati. Queste eventuali divergenze di
opinioni non devono però in nessun modo alimentari dubbi che ledano la
professionalità del medico curante che, magari, proprio per uno spiccato senso
di responsabilità ha ritenuto necessario chiedere il ricovero del proprio
paziente per assicurargli la migliore assistenza possibile.
Può succedere, a
volte, che, di fronte al malato stesso, i medici del reparto ospedaliero
esprimano giudizi clinici che possono porre in cattiva luce la figura
professionale del medico curante. Non devono certamente essere nascosti
eventuali errori, ma è necessario che i medici ospedalieri sappiano comprendere
le difficoltà che possono riscontrarsi per il medico curante nell'esprimere una
diagnosi formulata senza l'ausilio di moderne tecnologie.
E' necessario
formulare giudici clinici obiettivi e rispondenti al singolo caso ma è obbligo
deontologico non avvilire la professionalità del medico curante che ha diritto
di mantenere intatta la propria reputazione nei confronti dei pazienti verso i
quali comunque ha prestato la propria opera.
A questo obbligo a carico dei
medici ospedalieri e delle Case di cura corrisponde il correlativo dovere del
medico curante che, dopo la dimissione del proprio paziente, non deve esprimere
giudizi scorretti e di infondata critica nei confronti dell'opera prestata dai
colleghi.
La norma deontologica non vuole, peraltro, essere un invito ad una
"sorta di omertà" nei confronti dei colleghi che sbagliano ma costituisce solo
un invito al reciproco rispetto. Si vuole contrastare, in buona sostanza, la
tendenza, che a volte si manifesta fra colleghi, di avvilire l'operato degli
altri quasi a voler far risaltare, per contrasto, la propria competenza
professionale. Occorre essere consapevoli che in campo medico nessuno è
depositario della verità assoluta.