Il rapporto tra i medici deve ispirarsi ai principi del reciproco rispetto
e della considerazione della rispettiva attività professionale.
Il
contrasto di opinione non deve violare i principi di un collegiale comportamento
e di un civile dibattito.
Il medico deve assistere i colleghi senza
fini di lucro, salvo il diritto al recupero delle spese sostenute.
Il
medico deve essere solidale nei confronti dei colleghi sottoposti a ingiuste
accuse.
Commento:
Questo articolo riunisce in sé
alcune fattispecie che nel codice del 1995 venivano affrontate
analiticamente.
In realtà l’attuale formulazione sembra più rispondente al
principio generale della solidarietà. Sono infatti sottolineate differenti
situazioni tutte convergenti, verso il rispetto di questo principio. Il senso
della solidarietà che non deve essere inteso negativamente come atteggiamento
corporativo fra individui facenti parte dello stesso gruppo professionale,
bensì, come patto di collaborazione nell’esclusivo interesse del
paziente.
Nel commento all'art. 1 si è visto che fra i principi cardine della
deontologia professionale medica rientra il cosiddetto "spirito di colleganza":
solidarietà fra gli individui che fanno parte di uno stesso gruppo
sociale.
E' proprio l'appartenenza ad una stessa comunità che fa nascere o
dovrebbe far nascere il sentimento di reciproca considerazione e di comune
sentire.
E' necessario, peraltro, che lo spirito di colleganza, che ha una
valenza senz'altro positiva in quanto porta alla collaborazione fra colleghi e
ad un mutuo soccorso, non degeneri in forme negative che vengono definite "di
corporativismo" (l'appartenenza alla categoria professionale finisce con il
divenire il valore più importante anche rispetto alle esigenze e alla necessità
della generalità dei cittadini).
Lo spirito di colleganza deve essere
correttamente inteso come una vera solidarietà tra colleghi, non solo dal punto
di vista professionale ma anche sociale e familiare. Un aspetto importante è
costituito dal rispetto delle altrui opinioni professionali che possono non
collimare fra colleghi. Tali divergenze non devono mai divenire occasioni di
attrito di carattere personale, ma devono, anzi, costituire opportunità di
confronto civile di opinioni.
L'attività professionale medica, pur essendo
ormai basata su elementi di scientificità, può non sempre comportare una sola
soluzione e un solo corretto approccio alla malattia.
Tale momento di
confronto è particolarmente stimolante in quanto permette ai colleghi di
confrontare, con il necessario rispetto reciproco, le rispettive esperienze
arricchendosi vicendevolmente. Può accadere, peraltro, che queste differenze di
opinioni portino invece a contrasti di carattere personale. Litigi e gravi
incomprensioni costituiscono, indubbiamente, una grave violazione del principio
di colleganza che oltre a rendere più difficile il lavoro dei medici, apportano
un indubbio discredito all'intera categoria che vede lesa da questi fatti la
dignità stessa della professione.
E' opportuno fare un breve cenno sul
problema della competenza disciplinare dell'Ordine sui medici impiegati in una
Pubblica Amministrazione. Ai sensi dell'art.10 del DLCPS 13.9.1946, n.233,
l'Ordine è competente disciplinarmente, in questi casi, solo limitatamente
all'esercizio libero professionale. Questa normativa ha portato alcuni a
ritenere inibito il potere disciplinare dell'Ordine nei confronti dei medici
dipendenti (si pensi ad esempio ai medici ospedalieri) che svolgono la propria
opera interamente nell'ambito del rapporto d'impiego che li lega al Servizio
Sanitario Nazionale. In realtà, invece, la tesi prevalente è quella che ritiene
l'Ordine competente, da un punto di vista disciplinare, anche sui medici
dipendenti quando il comportamento scorretto posto in essere non riguardi
strettamente il rapporto di lavoro con la P.A. ma derivi dalla violazione di
regole di comportamento concernenti l'esercizio della professione medica.
Il
caso di un grave diverbio fra colleghi che, ad esempio, getti discredito
sull'intera categoria medica costituisce, indubbiamente, una situazione in cui
l'Ordine ha il diritto-dovere di intervenire disciplinarmente anche su medici
"impiegati in una Pubblica Amministrazione".
Rientra nel vasto quadro del
principio di colleganza anche la necessaria solidarietà che deve sussistere fra
i colleghi. L'elemento solidaristico ha, da sempre, caratterizzato i rapporti
fra gli appartenenti ad una stessa categoria o gruppo sociale. Questo aspetto
esiste sin dal sorgere delle libere professioni i cui esponenti hanno sempre
tenuto ben presente la necessità di esprimere reciproca solidarietà e di
organizzarsi per creare forme di assistenza.
La solidarietà nel gruppo
professionale ha sempre riguardato sia l'aspetto familiare (attraverso l'aiuto
ai congiunti del professionista deceduto o in grave difficoltà) sia l'aspetto
professionale (la sostituzione dei colleghi ammalati o comunque non in grado di
far fronte ai propri impegni).
E' opportuno, peraltro, sottolineare che
nell'odierna società le esigenze di solidarietà all'interno di una categoria
vengono sempre più frequentemente assicurate attraverso l'istituzione di
appositi enti previdenziali e assistenziali che, autofinanziati dagli stessi
professionisti, hanno lo scopo di garantire ai propri iscritti e ai loro
familiari il mantenimento di un certo livello di vita anche nei momenti di
difficoltà.
Per quanto riguarda ancora l’ultimo comma dell'articolo in
commento l'interesse del "legislatore deontologico" è quello di invitare alla
solidarietà ed all'aiuto i medici nei confronti di colleghi accusati
ingiustamente. Questo avviene più spesso di quanto non si creda, specialmente in
riferimento alle campagne (più giornalistiche che giudiziarie) che tendono a
colpevolizzare il medico per tutte le varie deficienze, spesso solo di carattere
organizzativo e burocratico che ancora caratterizzano la sanità italiana. Non si
vuole invitare i medici a forme di omertà a favore di colleghi immeritevoli; si
intende invece evidenziare la necessità che la categoria sappia dimostrarsi
solidale con i medici quando vengono accusati in modo palesemente
ingiusto.
Anche questo articolo costituisce una esplicita applicazione del
principio di colleganza e, richiamando una tradizione antichissima, prescrive
che il medico presti la propria assistenza gratuitamente ai colleghi.
Il
codice deontologico vuole, in sostanza, affermare che il medico non deve
richiedere un compenso al collega per lo svolgimento della propria opera
professionale, in relazione alla solidarietà che deve legare i componenti lo
stesso gruppo professionale.
E' interessante notare che, nell'ambito del
diritto questa prassi non viene considerata una "donazione" in senso tecnico
(art.769 c.c.) ma semplicemente un atto a titolo gratuito. Da un punto di vista
giuridico è atto a titolo gratuito quello in cui, pur riscontrandosi un
beneficio in chi ne gode (c'è una prestazione priva di controprestazione), manca
un correlativo depauperamento del patrimonio di chi lo pone in essere e non vi è
nemmeno aumento del patrimonio di chi ne benefici.