Il medico al quale vengano richieste prestazioni che contrastino con la sua coscienza o con il suo convincimento clinico, può rifiutare la propria opera, a meno che questo comportamento non sia di grave e immediato nocumento per la salute della persona assistita.
Commento:
Il titolo dell’articolo è
stato ridefinito rispetto al testo del 1995. Si è, infatti, eliminato il
riferimento specifico alla obiezione di coscienza. Questa scelta nasce dalla
volontà di dare all’articolo stesso un’ampiezza etica che il riferimento
all’obiezione di coscienza, legislativamente disciplinata da tre specifiche
leggi – una riguardante il rifiuto di espletare il servizio militare e le altre
di maggiore interesse per la professione medica, relativa alla interruzione
volontaria della gravidanza e alla sperimentazione sugli animali - avrebbe forse
ridotto.
La valenza del presente articolo è rinvenibile dal rilievo etico che
è un elemento fondamentale della professione insito nella natura stessa
dell’attività medica, che ha nella tutela della salute il proprio fondamentale e
principale obiettivo, in risposta a quello che è costituzionalmente un diritto
riconosciuto al cittadino.
Il principio che in questo articolo viene
sottolineato trova le proprie radici nella nostra carta costituzionale ed ha
carattere universale.
La Repubblica, infatti, riconosce e garantisce i
diritti inviolabili della persona, tra i quali anche quello di aderire
liberamente a varie impostazioni culturali e ideologiche.
Il cittadino è
tenuto al rispetto della norma positiva, ma nel caso di profondi contrasti con i
propri principi morali, può essere eccezionalmente autorizzato dalla norma
stessa a rifiutare l'adempimento di un obbligo stabilito dalla legge.
Al di
là delle questioni più rilevanti concernenti l'obiezione di coscienza, così come
prevista e disciplinata nella legge 194/78 va, comunque, rilevato come tale
facoltà nel codice deontologico sia oggetto di una previsione di carattere
generale che la connette a qualsiasi tipo di intervento sanitario che abbia
implicazioni con convinzioni d'ordine morale e clinico del medico
stesso.
Tale previsione, proprio per la sua ampiezza, comporta, però, la
necessità di un raccordo con quella, pure d'ordine generale di cui all'art. 17
del medesimo codice, che sancisce l'obbligo al medico, nel rapporto con il
paziente, d'improntare la propria attività personale al rispetto dei diritti
fondamentali della persona.
Da ciò il difficile bilanciamento tra i diritti
di libertà e gli autonomi convincimenti del paziente e del medico, relativamente
a tutta una serie di interventi sanitari rispetto ai quali si registrano diversi
orientamenti etici.
Come esempio più significativo al riguardo, basti
accennare alla problematica della contraccezione e in particolare alla scelta
delle diverse metodiche; si sono, infatti, registrati da parte di sanitari di
stretta osservanza cattolica episodi di rifiuto di prescrizione di
contraccettivi orali.
Su tali questioni, al di là di implicazioni e
conseguenze d'ordine giuridico, tanto più stringenti nel caso di sanitari
dipendenti o convenzionati con il Servizio Sanitario Nazionale, nei confronti
dei quali sono configurabili eventuali responsabilità civili e penali, la
valutazione di carattere deontologico va svolta proprio sulle direttrici poste
dagli artt. 17 e 19 del codice di deontologia. Tali articoli delineano il
rapporto medico-paziente come incontro di due coscienze con pari dignità,
rapporto che deve svolgersi nel rispetto reciproco delle convinzioni etiche e
religiose.
Va, pertanto, considerato nello svolgimento della valutazione
suddetta, quale sia la rilevanza della sfera di libertà, autonomia e
indipendenza, rispettivamente del medico e del paziente, coinvolti in
determinate scelte e fino a che punto e come le opzioni etiche o religiose
dell'uno possano o non possano incidere nella sfera dell'altro, nella
ricostruzione di un'armonica sintesi di quanto affermato anche dall'art. 4 del
codice deontologico.
Meno problematico appare, invece, il rifiuto opposto dal
medico a prestare la propria opera in interventi che contrastino con il suo
convincimento clinico. In tali ipotesi, infatti, la personale responsabilità del
sanitario per la sua opera professionale lascia a lui la più ampia libertà,
fornendo idonee motivazioni, sulla scelta di come operare e su tale punto non
c'è alcuna necessità di bilanciamenti con diversi interessi.