-La prescrizione di un accertamento diagnostico e/o di una terapia
impegna la responsabilità professionale ed etica del medico e non può che far
seguito a una diagnosi circostanziata o, quantomeno, a un fondato sospetto
diagnostico.
Su tale presupposto al medico è riconosciuta autonomia
nella programmazione, nella scelta e nella applicazione di ogni presidio
diagnostico e terapeutico, anche in regime di ricovero, fatta salva la libertà
del paziente di rifiutarle e di assumersi la responsabilità del rifiuto
stesso.
Le prescrizioni e i trattamenti devono essere ispirati ad
aggiornate e sperimentate acquisizioni scientifiche anche al fine dell’uso
appropriato delle risorse, sempre perseguendo il beneficio del
paziente.
Il medico è tenuto a una adeguata conoscenza della natura e
degli effetti dei farmaci, delle loro indicazioni, controindicazioni,
interazioni e delle prevedibili reazioni individuali, nonchè delle
caratteristiche di impiego dei mezzi diagnostici e terapeutici e deve adeguare,
nell’interesse del paziente, le sue decisioni ai dati scientifici accreditati e
alle evidenze metodologicamente fondate.
Sono vietate l’adozione e la
diffusione di terapie e di presidi diagnostici non provati scientificamente o
non supportati da adeguata sperimentazione e documentazione clinico-scientifica,
nonché di terapie segrete.
In nessun caso il medico dovrà accedere a
richieste del paziente in contrasto con i principi di scienza e coscienza allo
scopo di compiacerlo, sottraendolo alle sperimentate ed efficaci cure
disponibili.
La prescrizione di farmaci, per indicazioni non previste
dalla scheda tecnica o non ancora autorizzate al commercio, è consentita purchè
la loro efficacia e tollerabilità sia scientificamente documentata.
In
tali casi, acquisito il consenso scritto del paziente debitamente informato, il
medico si assume la responsabilità della cura ed è tenuto a monitorarne gli
effetti.
E’ obbligo del medico segnalare tempestivamente alle autorità
competenti, le reazioni avverse eventualmente comparse durante un trattamento
terapeutico.
Commento
Questo articolo è fondamentale
all’interno del codice ed è da ritenere, indubbiamente, punto di snodo
dell'intero impianto codicistico. Come già detto il procedimento seguito per
l’approvazione del nuovo codice di deontologia medica è stato caratterizzato da
una rafforzata democraticità di confronto. Il dibattito all’interno degli Ordini
su principi fondamentali e sul dettaglio dell’impianto codicistico è stato
particolarmente serrato e l’art. 12 è stato uno degli articoli maggiormente
approfonditi proprio per la significatività degli elementi contenuti nel testo
stesso, primo fra tutti l’introduzione del principio dell’uso appropriato delle
risorse economiche, principio che non può, comunque, condizionare l’autonomia
del medico nelle appropriate scelte diagnostiche e terapeutiche.
Si tratta di
un principio voluto proprio perché rispondente a indirizzi e scelte ormai
acquisiti a livello nazionale e internazionale. In questo senso è stata
sottolineata la necessità di una equa allocazione delle risorse economiche a
disposizione, anche attraverso la responsabilizzazione del medico,
nell’interesse dell’intera collettività.
Nell’art. 12 è rimarcata l’autonomia
che accompagna il medico nella programmazione, nella scelta del presidio
diagnostico terapeutico da applicare, da confrontare con la libertà di scelta
che a ciascun cittadino è riconosciuta; libertà comunque supportata da una
effettiva e consapevole assunzione di responsabilità in caso di rifiuto di cure
proposte.
L’ultima parte dell’art. 12 sottolinea con particolare forza il
principio di autonomia del medico, di responsabilità dello stesso riguardo alle
scelte terapeutiche da effettuare. Si sottolinea il dovere del medico di
accedere alle richieste del paziente, ma assolutamente di respingerle laddove
queste fossero in contrasto con quei principi di scienza e coscienza che sono
fondamento etico dell’esercizio professionale.
Quest’articolo costituisce una
summa di principi basilari per l’attività professionale del
medico.
L'autonomia professionale è una delle caratteristiche che
contraddistinguono il professionista anche in rapporto di lavoro subordinato.
Nell'ambito della prestazione professionale cui il medico è quotidianamente
chiamato esiste un ambito di discrezionalità culturale e tecnica e
un'indipendenza, anche gerarchica, del professionista che, sotto la propria
responsabilità, si occupa della diagnosi, della cura e della terapia del
paziente.
A questo potere discrezionale corrisponde una correlativa
responsabilità civile, penale e deontologica per eventuali errori inescusabili
commessi. Molto ampio e delicato il dibattito che si sta ancora svolgendo, in
dottrina e giurisprudenza, sulla natura della responsabilità professionale con
particolare riferimento al grado della colpa che può rendere il medico
"imputabile" da un punto di vista penale o, comunque, obbligarlo al risarcimento
dei danni da un punto di vista civilistico.
Come è noto la responsabilità
civile del prestatore d'opera intellettuale, e quindi anche del medico, è
limitata solo al dolo o alla colpa grave se la prestazione implica la soluzione
di problemi tecnici di "speciale" difficoltà (art. 2336 c.c.).
Questa
limitazione che riguarda soltanto il campo del diritto civile si applicherebbe
non soltanto alla responsabilità contrattuale, ma anche a quella
extracontrattuale cioè derivante da fatto illecito (cfr. Cass. 81/1544 e Cass.
71/1282). Questa limitazione di responsabilità era in passato applicata anche al
campo penalistico contribuendo a creare un tipo di responsabilità per il
professionista più attenuata rispetto a quella relativa alla normalità dei
cittadini. Vi è da dire che ultimamente questi orientamenti sono stati
modificati dalla giurisprudenza in varie sentenze in cui è stata sancita la
responsabilità del professionista secondo i comuni canoni della colpa scaturente
da imprudenza, imperizia e negligenza. Senza pretendere di sintetizzare tutta la
complessa problematica della c.d. colpa professionale e della correlativa
responsabilità è però opportuno fare cenno al concetto di consenso informato. Il
medico deve, cioè, ottenere il consenso alle cure o agli interventi che intende
realizzare da parte del paziente stesso ove possibile o, altrimenti, dai suoi
legali rappresentanti. Il consenso in forma scritta è, ovviamente, necessario
quando si tratti di interventi delicati e pericolosi per la vita del paziente
stesso.
Il medico, a questo riguardo, deve fornire la necessaria e completa
informazione affinché tale consenso non possa essere considerato frutto di
ignoranza sulle effettive conseguenze dell'attività del medico.
E'
opportuno, infine, segnalare che da un punto di vista processuale e di prova,
secondo i normali canoni giuridici, al medico, come a qualsiasi altro
professionista, spetta l'obbligo di dimostrare di aver svolto il proprio
incarico professionale: spetterà, invece, al paziente provare di aver subito un
danno derivante dalla colpa del professionista stesso.
Il medico, come
qualsiasi altro libero professionista, è tenuto a fornire prestazioni di
carattere tecnico e culturale fondate su precise conoscenze ed esperienze
derivanti, a loro volta, dalla scienza ufficiale che, come è noto, si evolve in
continuazione. Da ciò emerge l'obbligo dell'aggiornamento professionale che
costituisce, peraltro, oggetto specifico del successivo art. 16 del codice
deontologico.
Le prescrizioni e i trattamenti terapeutici devono, poi, essere
ispirati al principio del c.d. "rischio-beneficio". I pericoli e le
controindicazioni della cura devono cioè essere bilanciati dalla possibilità di
successo o, comunque, di buon risultato della cura stessa. Quello che il comma
dell'articolo in commento vuol significare è che deve essere evitata la c.d.
"temerarietà professionale", cioè una condotta che non tenga conto di possibili
complicazioni e di eventuali conseguenze dannose, ispirata a una ottimistica, ma
non completamente fondata, fiducia sulle potenzialità positive della cura e
dell'intervento prescelto.
Il medico è tenuto ad una adeguata conoscenza dei
farmaci e dei loro effetti e conseguenze anche nelle prevedibili reazioni
individuali. E' tenuto, inoltre, a conoscere le caratteristiche e la natura dei
mezzi diagnostici che utilizza e prescrive. Naturalmente il livello di diligenza
e di conoscenza cui il medico è tenuto non può essere, sempre e comunque, del
livello dello scienziato di fama internazionale. La giurisprudenza ha già da
tempo chiarito che il punto di riferimento per comprendere se ci siano colpe del
medico è quello basato sulla diligenza di quel tipo medio di buon professionista
della stessa categoria cui appartiene il medico di cui trattasi. La valutazione
sul comportamento del medico non può, ovviamente, essere limitata soltanto a
criteri freddamente oggettivi e tecnici, ma deve essere aperta alle particolari
condizioni in cui si svolge l’atto medico, legate al rapporto di personalità
della prestazione professionale e di fiduciarietà nei confronti del
paziente.
L'adozione da parte del medico di terapie nuove deve essere
limitata all'ambito della sperimentazione clinica e non può quindi sussistere
nel campo del rapporto di cura con il paziente. Il codice deontologico dedica
alla questione della sperimentazione clinica vari articoli cui rimandiamo per
l'approfondimento delle relative tematiche.
La giurisprudenza ha da tempo
riconosciuto al medico la "libertà di scelta terapeutica": il che consente al
professionista di utilizzare terapie anche non strettamente tradizionali e
comunemente praticate purchè si attenga sempre alle regole della prudenza e del
rispetto delle conoscenze scientifiche. Il medico, in buona sostanza, cade nella
colpa professionale e nella relativa responsabilità quando il trattamento
terapeutico da lui utilizzato non trovi alcun supporto o giustificazione
scientifica. Eguale responsabilità sussiste, qualora in presenza di trattamenti
terapeutici di comprovata efficacia, il medico scelga senza validazione terapie
non ancora sufficientemente garantite e sperimentate.