titolo 3° - RAPPORTI CON IL CITTADINO
Allorché si tratti di minore, di interdetto o di inabilitato, il consenso
agli interventi diagnostici e terapeutici, nonché al trattamento dei dati
sensibili, deve essere espresso dal rappresentante legale.
In caso di
opposizione da parte del rappresentante legale al trattamento necessario e
indifferibile a favore di minori o di incapaci, il medico è tenuto a informare
l'autorità giudiziaria.
Commento:
L’art. 33 è rimasto sostanzialmente immutato rispetto al testo del 1995,
fatta salva la riconduzione nell’ambito della rappresentanza legale della
necessità del consenso espresso da rappresentanti legali, non solo per gli
interventi diagnostico-terapeutici ma anche per il trattamento dei dati
sensibili, concernente cioè la salute e la sessualità (Legge 675/96).
Con
riferimento ai casi in cui chi abbisogna di trattamento sanitario sia minore o
legalmente incapace, il codice di deontologia, attenendosi ai criteri operanti
in ambito giuridico, individua nei rappresentanti legali di tali pazienti la
competenza ad esprimere il necessario consenso.
Ove detti rappresentanti si
oppongano a trattamenti "necessari e indifferibili ", il medico deve informare
l'autorità giudiziaria, secondo quanto riscontrabile anche nelle fattispecie
giuridiche disciplinate dagli artt.330-333-336-384 c.c.
La formulazione di
tale comma, anche rapportata all'ultimo comma dell'art.29, non dà una soluzione
espressa al caso in cui, in mancanza del consenso dei legali rappresentanti, la
situazione in cui versi il minore o incapace sia di tale urgenza da non essere
compatibile con i tempi necessari al ricorso all'autorità giudiziaria.
Nel
caso di specie, comunque, in ambito giuridico l'intervento del medico senza il
richiesto consenso sarebbe giustificato ricorrendo la scriminante dello stato di
necessità, così pure in ambito deontologico si deve plausibilmente pervenire ad
analoga conclusione.
Con riferimento specifico alla problematica del consenso
in pediatria, appare poi opportuno accennare alla possibilità di fornire
l'informazione ed acquisire il consenso direttamente nei confronti dei
cosiddetti "grandi minori", cioè di quei minori che abbiano acquisito una
capacità naturale in tal senso.
In verità, il vigente ordinamento giuridico
italiano, proprio in relazione alla capacità giuridica di esprimere consenso da
parte dei grandi minori per determinati atti medici (come per il prelievo del
sangue) si esprime in senso limitativo.
Va, comunque, evidenziato che per
altre fattispecie sia la giurisprudenza che il legislatore hanno direttamente
preso in considerazione tale categoria di minori, legittimandone l'esercizio
diretto di taluni diritti.
La problematica in esame risulta comunque fornita
di rilevanza anche dal punto di vista etico; di ciò si ha una conferma anche nel
fatto che in taluni codici deontologici di altri Paesi (v. Olanda, Portogallo,
Francia), viene data la possibilità al minore e all'incapace, ove ritenuti
in grado di esprimere un valido consenso in quanto in possesso di idonea
capacità in tal senso, di decidere in merito ai trattamenti sanitari che li
riguardano.
Nel codice italiano non sono contenute analoghe previsioni.
Va
segnalato, tuttavia, che il problema è stato affrontato anche dal C.N.B. che ha
efficacemente sottolineato il compito del medico di "child advocacy", che può
richiedere "il prendere posizioni che non sono sempre quelle dei genitori, delle
famiglie, il decidere talvolta in contrasto con le loro scelte, manifeste o
sottintese". Speciali e talora molto grandi possono essere le responsabilità
morali, umane, legali, che in certe situazioni si trova ad assumere. E
giustamente è stato detto che in tali situazioni non gli bastano i "disincantati
suggerimenti medico legali".