Professione medico (Volume 6 Editore UTET Torino) la clinica malattie dell’apparato respiratorio Le malattie infiltrative e interstiziali del polmone

A cura di Salvatore Lo Cicero Divisione di Broncopneumotisologia

Ospedale Niguarda Ca’Granda Milano

FIBROSI

L'interstizio polmonare è costituito da un sottile strato di tessuto nella parete alveolare, limitato dalla lamina basale dell’epitelio alveolare e delle cellule endoteliali. L’Interstizio si di parte dalle guaine che rivestono l'albero bronchiale e vascolare, si estende a tutti gli alveoli ed è con­nesso ai tessuti perilobulari e subpleurici, L’interstizio al­veolare gioca un ruolo critico nella definizione dell' archi­tura e delle proprietà meccaniche della parete alveolare, fornendo il sostegno strutturale per le cellule epiteliali ed indoteliali e modulando il comportamento della parete al­veolare durante la respirazione. Le malattie croniche delle strutture interstiziali polmonari sono tradizionalmente sud­divise in tre gruppi:

(1: disordini dell’interstizio polmonare a eziologia nota;

(2: disordini dell'interstizio polmonare a eziologia scono sciuta;

(3: enfisema.

 

ANATOMIA E FISIOLOGIA DELL’INTERSTIZIO ALVEOLARE

Nell’adulto normale l’interstizio alveolare occupa. Approssi­mativamente il 50% del volume della parete alveolare. È limitato dalle membrane basali epiteliali ed endoteliali, è costituito da tessuto connettivo (stroma) e include la matrice interstiziale extracellulare) e le cellule mesenchimali. L’interstizio contiene anche macrofagi alveolari e linfociti-cellule infiammatorie che, a seconda del tipo di insulto, possono giocare un ruolo vitale nella difesa del polmone. Nel contesto dell'interstizio sono disperse anche proteine, lipidi, carboidrati e piccoli soluti derivati dal plasma e dalle cellule.

Membrane basali: Le membrane basali epiteliali ed endoteliali sono sottili lamine di tessuto connettivo poste al di sotto delle cellule epiteliali ed endoteliali. In diversi punti dell'interstizio al­veolare le due membrane basali sono fuse; in questi siti la distanza tra aria e sangue è brevissima e probabilmente è questa la strada attraverso la quale avviene la maggior parte degli scambi dei gas.

Matrice del tessuto connettivo: La matrice connettivale, limitata dalle due membrane basali epiteliale ed endoteliale, comprende fibre elastiche e componenti amorfe. La componente fibrosa è costituita da collagene, per lo più di tipo I e di tipo III, con una piccola quota di tipo V. La 'componente elastica dell'interstizio è formata da fibre elastiche che rappresentano il 20-30% del tessuto connettivo Interstiziale. Le fibre elastiche sono costituite da due componenti: elastina e miofibrille. Nell'interstizio alveolare dell'adulto la componente amorfa è occupata al centro dalle fibre elastiche, mentre le miofibrille sono situate in periferia.

Cellule mesenchimali: Le cellule mesenchimali rappresentano Il 30-40% delle cellule parenchimali presenti nella parete alveolare e includono fibroplasti, miofibroblasti, cellule muscolari lisce, pe­riciti, le cosiddette cellule interstiziali (myofibroblastiche cells, che spesso contengono gocce lipidiche citopiasmatiche), e cellule mesenchimali indifferenziate. Per la loro preponderanza numerica, i fibroblasti e i miofibroblasti dominano la popolazione delle cellule mesenchimali del polmone.

Cellule infiammatorie: Sulla superficie epiteliale alveolare e nell'interstizio si riscontra L’80-90% di macrofagi alveolari e il 10% di linfociti. I macrofagi alveolari derivano dai monociti del sangue che proliferano lentamente all’inteno dell'interstizio. Com­plessivamente la popolazione macrofagica alveolare ha appros­simativamente un tum over di tre mesi. La popolazione linfocitaria include linfociti T e linfociti B, le T constano di cellule helper, in­ducer e citotossiche, di solito nelle stesse proporzioni del sangue. L'interstizio contiene proporzionalmente meno linfociti B che linfo­citi T. I linfociti B nelle basse vie respiratorie sintetizzano e se­cemono le immunoglobuline.

Funzioni dell'interstizio alveolare: L’interstizio alveolare è pre­posto a quattro funzioni: (A: provvedere al sostegno strutturale per le cellule della parete alveolare cooperando a definire l’architettura degli spazi alveolari; (B: svolgere un ruolo meccanico delle basse vie durante la respi­razione, assicurato dalle membrane basali, dalla matrice dei tes­suto connettivo e dalle cellule mesenchimali; (C: modulare il passaggio dei fluidi e dei soluti tra la superfici epi­teliale ed endoteliale, costituendo una porzione di tessuto - barriera tra sangue e aria; (D: contribuire alla difesa delle basse vie respiratorie sia come barriera meccanica sia per l’insieme di cellule infiammatorie nor­malmente presenti all'interno dell'interstizio.

 

 

Dal punto di vista patogenetico queste malattie possono essere differentemente catalogate in base al tipo di danno dell'interstizio alveolare:

(1 distorsione: processo nel quale l'interstizio polmonare ri­sulta allargato a causa dell’accumulo di cellule e / o ma­teriale extracellulare;

(2 fibrosi: processo nel quale il normale interstizio è danneggiato e sostituito da un numero maggiore di cellule mesenchimali e da un tessuto protetto;

(3 distruzione: processo nel quale viene meno l’integrità dell’interstizio.

 

 Fisiologia

Infiammazione: Le cellule infiammatorie inducono alterazione dell’interstizio con tre modalità:

(A: occupando spazio e scompaginando la normale architettura;

(B: danneggiando le cellule e le componenti del tessuto connettivo dell’interstizio stesso;

(C: danneggiando l’epidelio è l’entotelio, pertanto alterando interamente la struttura e la funzione interstiziale.

Il tipo di cellule infiammatorie attivate nell'interstizio de­termina il tipo di danno risultante. L'infiammazione domi­nata da linfociti T causa un danno tipo distorsione, mentre l'infiammazione mediata da macrofagi alveolari, neutrofili ed eosinofili provoca di solito un danno di tipo fibrotico. I neutrofili aggiungono una prospettiva di danno di tipo distruttivo, in quanto sono potenzialmente in grado di dan­neggiare severamente tutte le componenti del tessuto con­nettivale dell'interstizio e, di conseguenza, di distruggere completamente l’architettura interstiziale. Le principali ca­tegorie di mediatori coinvolti nella patogenesi delle malattie infiammatorie delle basse vie aeree includono ossidanti e fattori chemiotattici, i quali richiamano altre cellule infiam­matorie amplificando in tal modo la flogosi.

Mediatori dell’immunità I fattori chemiotattici e di crescita secreti dalle cellule della flogosi mediano l' accumulo di cel­lule mesenchimali. D' altra parte questi processi omeostatici bilanciano l'infiammazione mediante antiproteasi, antios­sidanti, immunosoppressori, inibitori della chemiotassi, fattori antiproliferativi e tramite la capacità dell'interstizio di rimuovere gli stimoli che possono perpetuare o iniziare i processi di flogosi.

Proteasi: i macrofagi alveolari, gli eosinofili ma soprattutto i neutrofili possono rilasciare proteasi. Ognuna di queste cellule può anche rilasciare un differente spettro di pro­teasi:

(A: i neutrofili attivati rilasciano collagenasi, elastasi e cate­psina G; (B:gli eosinofili rilasciano collagenasi; (C: i macrofagi alveolari rilasciano l'attivatore del plasrnino­geno, una proteasi che può attivare il complemento, gene­rare chinine, iniziare la Fibrinolisi e degradare le componenti del connettivo.

Anche i macrofagi alveolari possono rilasciare collagenasi ed elastasi, peraltro in quantità così piccole che il ruolo di questi mediatori nella patogenesi del danno interstiziale è sconosciuto. Le basse vie aeree sono protette in maniera efficace contro l'elastasi neutrofila, ma sono debolmente protette contro gli altri enzimi.

Ossidanti: Macrofagi alveolari, eosinofili e soprattutto i neutrofili attivati possono rilasciare ossidanti tossici, l’anione superossido, il perossido d'idrogeno e radicali idrossilici. Inoltre, in presenza di alogeni come CI­ e mie­loperossidasi, un enzima contenuto nei neutrofili e nei ma­crofagi immaturi, lH2Oè convertita nel tossicissimo ra­dicale H2O2. Questi ossidanti possono danneggiare diret­tamente l' endotelio, l' epitelio e le cellule mesenchirnali che costituiscono la parete alveolare, sebbene le cellule epi­teliali di tipo I e quelle endoteliali siano maggiormente sensibili.

Fattori chermiotattici: Quattro fattori chemiotattici possono essere correlati nella patogenesi delle malattie intestiziali: (A: leucotriene B4 lipide a basso peso molecolare Prodotto dai macrofagi alveolari attivati che attrae neutrofili e, in mi­nor misura, monociti ed eosinofili;

(B: fattore chemiotattico monocitano (monocyte-Chemotactic Factor MCF), proteina rilasciata dai linfociti T attivati che attrae i monoliti;     

(C: fattore di crescita di derivazione piastrinica \Platelet-De­rived Growth Factor PDCF), mediatore che attrae monoliti e neutrofili:   

(D: interluchina 2 prodotto delle cellule T attivate che, si­nergicamente al fattore di crescita cellulare T, è un chemio­tattico per le cellule T helper.

Mediatori immuni: Fagociti mononucleati, cellule T helper inducer, linfociti T suppressor citotossici e B linfociti sono presenti nell’interstizio normale; il loro numero aumenta in quasi tutte le malattie croniche dell’interstizio.

Metaboliti dannosi prodotti localmente: Il concetto di tossine locali come sorgente di danno interstiziale è ben spiegato dal fenomeno oxigen toxicity dove l’iperosia promuove la formazione di un eccesso di radicali liberi dell’ossigeno da parte delle cellule parenchimali del polmone.

Agenti esterni: Tra gli agenti esterni che causano danno interstiziale vi sono; paraquat, radiazione ionizzanti, nitrofurantonina, bleumicina, ciclofosfamide, amidarone.

Accumulo di molecole extracellulari: In alcune malattie rela­tivamente rare, il meccanismo primario di danno della pa­rete alveolare è l'accumulo di materiale extracellulare nella matrice connettivale dell'interstizio. Un esempio tipico è costituito dall’accumulo di sostanza amiloide (amiloidosi).

Ischemia: le vasculiti come la granulomatosi di Wegener, provoca spesso ischemia distale ai segmenti coinvolti. Linfiammazione dell’interstizio è qualche volta seguita da necrosi.

Conseguenza meccaniche del danno interstiziale: In entrambi i tipi di danno distorsione e fibrosi lo spazio disponibile per l’aria diminuisce e le resistenze meccaniche per lo stiramento dell’interstizio aumentano. Inoltre, il danno tipo fibrosi è associato a un incremento del numero dei miofibroplasti e delle cellule muscolari lisce nella parete alveolare. Conseguentemente i volumi polmonari, includendo capacità vitale (CV), volume residuo (VR) e capacità polmonare totale (TLC) risultano ridotti. La diminuzione funzionale del letto capillare alveolare induce la riduzione della capacità di diffusione alveolo-capillare.

Alterazione dello scambio dei gas: Il danno interstiziale grave di solito causa leggera ipossiemia arteriosa che peggiora sotto sforzo. l’ipossiemia arteriosa deriva da due meccanismi: 

Masmatiching: tra a ventilazione alveolare e flusso sanguigno alveolare; Rapidità del flusso dei globuli rossi attraverso il letto capillare del polmone ristretto, con formazione di una condizione equivalente a una limitata diffusione alveolare capillare. Il danno interstiziale massivo da restrizione del letto vascolare polmonare, causato dalla perdita dei capillari polmonari, genera ipertensione polmonare con conseguente aumento di lavoro del ventricolo destro. La diminuzione gettata cardiaca che ne deriva riduce ulteriormente il trasporto di ossigeno ai tessuti.

 

Classificazione e patogenesi:

nonostante l’eterogeneità della natura delle malattie interstiziali, tutte condividono una patogenesi comune. In conseguenza della noxa iniziale, cellule infiammatorie e cellule effettrici immunitarie si accumulano nell’interstizio del parenchima polmonare. Questo accumulo all’interno delle strutture degli alveoli viene definito alveolite. Quando l’alveolite diventa cronica, le strutture alveolari sono danneggiate e le aree di parenchima polmonare sono sostituite da tessuto fibroso. Prima della formazione della fibrosi, l’alveolite è considerata reversibile. Istopatologicamente, la malattia interstiziale all’ultimo stadio mostra tipicamente la sostituzione in senso fibrotico degli alveoli, lesioni cistiche nel parenchima e dilatazione e distorsione delle piccole vie aeree.

 

Diversi termini sono usati per descrivere specifici quadri istologici di malattie interstiziali.

 

(1: Polmonite desquamativa interstiziale (PID). E’ caratterizzata da uno spiccato incremento di cellule mononucleate intralveolare ma con una minima fibrosi interstiziale. E’ generalmente considerata come una espressione istologica di alveolite causata da una varietà di meccanismi iniziali.

 

(2: UIP (Usual Interstizial Pneumonitis). In questo quadro una considerevole fibrosi con distorsione dei setti alveolari accompagna la reazione infiammatoria.

 

(3: Bronchiolite obliderante e polmonite interstiziale. E caratterizzata da tappi fibrosi che ocludono le piccole vie aeree in associazione con un aspetto istologico di UIP.

 

L’alterazione della diffusione e/o l’alterazione de rapporto ventilazione / perfusione indotto dalle fibrosi polmonari causa ipertensione polmonare.

 

Dal punto di vista emodinamico, l’ipertensione polmonare, che peggiora sotto sforzo, è comune nei pazienti con malattia interstiziale avanzata. I meccanismi responsabili di ipertensione polmonare comprendono distruzione dei vasi sanguigni a causa dei processi interstiziali, riduzione della distensibilità del letto vascolare polmonare, lesioni vascolari polmonari ostruttive (ipertrofia della tonaca media o proliferazione intimale) e vasocostrizione causata da ipossia alveolare. Dal punto di vista patogenico i macrofagi attivati di pazienti con fibrosi polmonare idiopatica, studiati in vitro producono una quantità maggiore di fibronectina rispetto ai macrofagi normali. L’azione della fibronectina è di regolare l’adesione cellulare e la propagazione di una varietà di cellule, tra cui i fibroplasti. La molecola agisce anche come fattore chemiotattico per il collagene. La fibronectina sembra che agisca come opsonina per il collagene. D’altra parte anche i linfociti modulano una vasta gamma di azioni di stimolazione, attrazione, e regolazione di tipo II a predominare, i pazienti con alveolite fibrosante criptogenica possono ottenere miglioramento radiologico e fisiologico dalla terapia steroidea.Il miglioramento indotto dalla terapia steroidea è inferiore nei pazienti in cui prevale la componente di tipo I del collagene.

 

Decorso e prognosi

Il monitoraggio dell’attività della malattia va riservato a quei pazienti in cui è stato dimostrato che la progressione è in corso. Il monitoraggio dell'attività e della progressione  della malattia, negli stadi precoci, è indispensabile anche  se il paziente presenta una sintomatologia relativamente  scarsa Il punto di riferimento del monitoraggio si basa sulla  valutazione funzionale. Solitamente una serie di semplici test è sufficiente, purché includa la determinazione dei volumi polmonari, la ventilazione è la capacità di diffusione alveolo–capillare (TLCO). Gli esami effettuati dopo sforzo sono spesso d’aiuto, in modo particolare la determinazione dell'indice cardiaco, il consumo di ossigeno e la pressione arteriosa di O2 (PaO2).L’uso di radioisotopi (67Gallio)è stato indicato come utile metodo per il monitoraggio dell’attività nella sarcoidosi, ma esso riflette particolarmente l'attività dei macrofagi / istiociti, e pertanto è probabilmente il riflesso dell'attività del granuloma piuttosto che la tendenza a progredire verso la fibrosi. Nell'alveolite criptogenica fibrosante, un disordine in cui la tendenza alla fibrosi progressiva è elevata, la scintigrafia con 67 Gallio denota solitamente incrementi modesti. Il lavaggio bronco-alveolare (BAL) viene considerato un valido metodo per il monitoraggio dell’attività, in quanto è in grado di mettere in evidenza, nei fibrotici, un aumento del numero dei neutrofili e nei pazienti con sarcoidosi il numero dei linfociti.

La percentuale di sviluppo della fibrosi varia considerevolmente in considerazione della natura dell'agente primario e dell'ospite. La fibrosi nei pazienti affetti da sarcoidosi, ad esempio, intercorre in meno del 20% dei pazienti che presentano le caratteristiche di malattia acuta; in questo gruppo il tasso di progressione è molto variabile. Alcuni sviluppano ombre fibrotiche che persistono invariate per uno due decenni, altri progrediscono verso la contrazione fibrotica in meno di 5 o 6 anni. Nell'alveolite allergica estrinseca la progressione del quadro nodulare acuto in fibrosi fatale è anch’essa molto variabile: può essere estremamente rapida, ma talvolta è reversibile con precoce terapia steroidea. Nell’alveolite fibrosante criptogenica alcuni pazienti muoiono nel giro di 12 mesi, mentre altri possono sopravvivere con grossolane anormalità del torace ma con apparente arresto della malattia per 30 anni o più, nonostante la media di sopravivenza sia di circa 10/15 anni. Nel caso delle polveri fibrosanti la fibrosi di solito evolve più lentamente e talvolta si manifesta anni dopo che è cessata l’esposizione La pro­gressione della patologia è in relazione a numerosi fattori, quali la persistenza degli agenti citotossici, il grado di relatività verso i corpi estranei, la difettosa clearance dei normali contaminanti ambientali, lo sviluppo di anticorpi contro i prodotti infiammatori e la persistenza, geneticamente de­terminata, delle reazioni infiammatorie e immunologiche causate dai vari stimoli. La distribuzione anatomica della fibrosi all'interno del parenchima polmonare è variabile. La fibrosi a insorgenza acu­ta delle forme granulomatose è di solito assai diffusa e col­pisce tutte le regioni polmonari, mentre negli stadi di cronicità la fibrosi è a carico dei lobi superiori. In corso di asbe­stosi la fibrosi colpisce preferenzialmente i lobi inferiori. Anche l’alveolite fibrosante criptogenica è caratterizzata da fibrosi prevalente alle basi. L’esempio più caratteristico di questo tipo di distribuzione della fibrosi è la polmonite interstiziale desquamativa. La distribuzione basale della fibrosi è anche comunemente riscontrata nella sclerosi sistemica, nell’artrite reumatoide riscontrata e nel lupus erimatoso associato ad alveolite fibrosante. Questa distribuzione sistemica ci suggerisce che le lesioni polmonari dipendono più probabilmente dalla circolazione piuttosto che dalla ventilazione. Queste situazioni suggeriscono che quando gli agenti lesivi, quali immunocomplessi, farmaci, endossine, farmaci citotossici, o altri materiali dannosi per il tessuto, raggiungono il polmone attraverso il circolo polmonare, saranno prevalentemente colpite le aree più per fuse. I granulomi fibrotici tendono quindi ad avere una distribuzione preferenziale nei lobi superiori, mentre l’essudazione cronica dai capillari, a prescindere dalle cause che la determinano, si localizza prevalentemente nelle zone inferiori. Una diffusione verso l’alto della distribuzione basale è indice di crescita della gravità e dell’estensione del danno capillare.

 

 

Manifestazioni cliniche

Il sintomo più comune e la dispnea, associata a tosse secca, irritativa e persistente. Sono spesso presenti fini creptii di fine inspirazione. L’ippocratismo digitale si manifesta in circa il 60% dei pazienti con alveolite fibrosante criptogenica e asbestosi, ma è molto meno comune nelle altre forme di fibrosi diffusa. La comparsa delle dita a bacchetta di tamburo talvolta prevede di molti anni la malattia polmonare.

 

Indagini strumentali

Il quadro radiologico della distrofia polmonare a nido d’ape è ben correlabile con la patologia nell’ispezione diretta del torace. E pratico distinguere dal punto di vista diagnostico il quadro a nido d’ape che si trova irregolarmente dentro le aree di fibrosi marcata, dal polmone a nido d’ape, dove il quadro cistico è più uniformemente distribuito in tutto il polmone a nido d’ape è particolarmente comune nella granulomatosi eosenofila, nella leiomatosi diffusa, nella sclerosi tuberosa e in altre rarissime condizioni come l'adenomatosi polmonare. Una fibrosi estesa è talvolta associata con gross destructive enfisema bolloso nei lobi non fibrotici, mentre m atri casi il polmone non fibrotico resta relativamente normale, Le ragioni di questa differenza non sono state studiate approfonditamente. La sovradisten­sione enfisematosa dei lobi inferiori associata con la fibrosi dei lobi superiori, provoca un aumento del volume residuo, mentre la capacità polmonare totale è relativamente ben mantenuta. Se l’architettura polmonare è ben conservata nei lobi inferiori sovradistesi, la loro performance è buona, il rapporto ventilazione /perfusione è mantenuto e la DLCO è ragionevolmente normale.Nel granuloma eosinofilo, bolle cistiche sono spesso osservate nei lobi superiori in aggiunta al più comune aspetto di quadro a nido d’ape. La TAC ad alta definizione rivela anormalità polmonare anche quando le proiezioni postero-anteriori e laterali della radiografia del torace sono completamente normali.

 

Terapia  

Non esiste attualmente un trattamento per la fibrosi. L’infiammazione acuta prefibrotica può essere spesso soppressa dai corticosteroidi. Il dosaggio d’attacco dello steroide dovrebbe essere di 1mg/die per os di prednisone per circa 60 giorni, tentando successivamente la sospensione del farmaco se si ottiene la risoluzione, o somministrando la minima dose di steroide qualora la risoluzione non sia raggiungibile. Nei casi in cui nonostante l’applicazione di dosaggi elevati e protratti di prednisone non si ottenga riduzione della progressione, della compromissione funzionale, appare indicato il tentativo di ridurre lo steroide e di introdurre (ciclofosfamide fino al dosaggio di 150 mg/die per os. Il farmaco necessita di monitoraggio settimanale della grasi ematica. A lungo termine, uno studio controllato sulla ciclofosfamide a confronto con i corticosteroidi nell’alveolite criptogenica fibrosante ha identificato un certo numero di pazienti che rispondevano agli immunosoppressori, ma non agli steroidi. Anche la penicillamina ha dimostrato di essere valida nei pazienti refrattari.

 

Fibrosi polmonare idiopatica

E caratterizzatala un’alveolite da macrofagi alveolari e neutrofili e da un deterioramento delle unità alveolo-ca­pillari. La fibrosi polmonare idiopatica insorge prevalen­temente nel corso della mezza età, ma tutti i gruppi di età possono esserne colpiti, a prescindere dal sesso. I pazienti presentano dispnea sotto sforzo e/o tosse secca, spesso in seguito a malattia virale. La febbre è rara. È presente ip­pocratismo digitale. La radiografia del torace mostra tipi­camente un infiltrato reticolo-nodulare diffuso, maggior­mente presente alle basi, in assenza di anormalità ilari o pleuriche e comune il riscontro di immunocomplessi in circolo. I test di funzionalità respiratoria dimostrano quadri caratteristici di malattia interstiziale, come la riduzione dei volumi polmonari statici e della capacità di diffusione e una leggera limitazione del flusso delle vie aeree. È presente un'ipossiemia a riposo che si aggrava significativamente con l'attività fisica. Gli studi della ventilazione e perfusione rivelano diffuse anormalità del loro rapporto. La scindografia con 67 Gallio mostra una diffusa captazione in tutto il parenchima polmonare nelle fasi di franca attività della pa­tologia, ma può spesso risultare negativa anche in fasi di elevata compromissione. Il (BAL) rivela un paterm alveolitico dominato da macrofagi e neutrofili con rari linfociti ed eosinofili, elevati livelli di IgG, immunocomplessi e prodotti derivati dai granulocitti neutrofila. La toracotomia a cielo aperto mostra un’alveolite diffusa con intensità non uniforme. Si può dimostrare una spiccata alterazione della parete al­veolare con un quadro di tipo fibrotico, accompagnato da denudamento della membrana basale epiteliale, la sosti­tuzione delle cellule epiteliali di tipo I con quelle di tipo II e cellule bronchiolari, perdita dei capillari espansione dell’interstizio con adema, aumento delle fibre mesenchimali­ e masse di fibre collagene alterate. Il decorso clinico è caratterizzato da perdita progressiva delle unità alveolo­capillari, con progressiva insufficienza respiratoria. La mor­te sopraggiunge circa 5/10 anni dopo l’esordio dei sintomi; al­cuni pazienti hanno un decorso rapidamente progressivo, altri possono vivere per 15/20 o più anni. Alla patologia si as­socia un'alta incidenza di infarto del miocardio e tromboem­bolia polmonare. Una biopsia a cielo aperto è necessaria per la diagnosi, dal momento che la fibrosi polmonare idiomatica non può essere diagnosticata utilizzando solamente i criteri morfologici.La percentuale di diagnosi mediante biopsia transbronchiale è del 70%, mediante pleuroscopia del 85%.Attualmente, tuttavia si preferiscono tali approcci diagnostici mini-invasivi al fine di non creare gravi alterazioni pleuriche; in corso di toractomia diagnostica. Queste alterazioni potrebbero infatti aumentare le difficoltà di escissione polmonare in corso di trapianto polmonare. Infatti nel caso tentativi ben condotti di terapia steroidea e successivamente immunosoppressiva non abbiano indotto riduzione della progressione della compromissione funzionale, il paziente sia in età inferiore ai 60 anni è non presenti compromissione multiorgano o particolari controindicazioni, (come il diabete insulino dipendente), va posta l’indicazione al trapianto polmonare.

 

Sarcoidosi:

È una malattia sistemica granulomatosa nella quale il coin­volgimento dei vari organi è di solito asintomatico. Molto frequentemente la patologia va incontro a remissione spon­tanea. L'età più colpita e quella compresa fra i 20 e i 40 anni. È frequente l’incidenza in membri della stessa famiglia, pro­babilmente legata al sistema (HLA): Molto probabilmente le prime cellule effettrici della risposta immune sono i ma­crofagi, che una volta attivati liberano interleuchina I la quale induce proliferazione e accumulo di linfociti T helper e conseguente diminuzione di linfociti T suppressor e pro­duzione di interluchina II. Da queste reazioni deriva la for­mazione del granuloma e l'attivazione del processo fibrotico. Sono coinvolti numerosi organi.

 

    Polmoni. Spesso il riscontro è occasionale ed è caratte­rizzato da linfoadenopatia ilare e/o microreticolonodula­zioni parenchimali. Assai frequente, la forma acuta (sindro­me di Loeffgren) è caratterizzata da linfoadenopatia, eri­tema nodoso, uveite e artralgie periferiche.

 

     Cute. Nelle forme acute si riscontra frequentemente eri­tema nodoso conseguente a una reazione vasculitica o pan­niculitica da accumulo di linfociti T; nelle forme croniche si manifestano lesione granulomatose papuliformi sulla cute dell'intero corpo. Molto frequenti sono le lesioni granulo­matose in sedi di cicatrici o tatuaggi. Lo sfigurante lupus pernio è anch’esso caratteristico delle forme croniche.

 

     Occhi. l'uveite è assai frequente, ma anche la congiuntiva, la retina e le ghiandole lacrimali sono spesso coinvolte (sin­drome di Heerfordt: uveite + parotite + paralisi del facciale).

 

    Il Sistema nervoso. Può risultare coinvolto in presenza sia di mono­ che di polineuropatia, con disturbi sia sensori che motori; meno frequenti le localizzazioni encefaliche­.

 

    Fegato. È di solito frequentemente interessato da forma­zioni granulomatose, ma in genere tali lesioni sono asin­tomatche.

 

    Sistema osteomuscolare. le falangi, i metacarpi e i me­tatarsi sono le ossa più frequentemente interessate, con al­terazioni radiologicamente evidenziabili (cisti, lesioni re­ticolonodulari). Sono frequenti sintomi artritici sia mono ­che poliarticolari. le lesioni granulomatose dei muscoli so­no di solito asintomatiche, anche se miopatie acute e cro­niche possono risultare invalidanti.

 

    Cuore. Piccole lesioni granulomatose miocardiche sono di frequente riscontro anche se asintomatiche.

 

     Linfonodi: E  frequente  la linfoadenopatia sottomandi­bolare o laterocervicale.

 

  Parotidi e ghiandole salivari. Sono frequenti gli aumenti di volume e le alterazioni della salivazione Gli esami di laboratorio sono di solito aspecifici e possono rilevare aumento delle gammaglobuline, della velocità di eritrosedimentazione, della calcemia e dell'enzima di con­versione dell'angiotensina (ACE) con linfopenia. Le lesioni radiografiche del torace distinguono classicamen­te la malattia in stadi. Stadio 0: radiografia del torace normale con lesioni extra­toraciche o lesioni polmonari guarite. Stadio I: ingrandimento dei linfonodi ilari. Stadio II a: ingrandimento dei linfonodi ilari + microreticolonodulazione parenchimale diffusa. Stadio II b il o­ microreticoionodulazione parenchimale diffusa + interessamento linfonodale. Stadio III: microretticolonodunazione diffusa con aree a nido d’ape e retrazione ilare. Le lesioni pleuriche, le cavitazioni e le subatelettasie sono riscontri occasionali. Il patern predominante delle funzionalità respiratorie è quello della sindrome restrittiva con lieve ipposimia e desaturazione da sforzo. Tranne che nello stadio I, nelle forme attive è costantemente presente riduzione della (DLCO); l’ostruzione moderata delle piccole vie aeree non è infrequente. La diagnosi di sarcoidosi va sempre supportata dalla conferma istologica. L’approccio diagnostico più opportuno è la biopsia transbronchiale, la cui sensibilità è elevatissima anche nei casi di solo interessamento linfoghiandolare. Anche le biopsie delle lesioni cutanee, delle ghiandole lacrimali, salivari o linfoghiandolari sottocutanee possono essere utili. La lesione istologica è il tipico granuloma a cellule epitelioidi e multinucleate gicantocellulari senza nuclei di caseificazione con o senza corpi inclusi. I parametri più utili nella valutazione clinica della malattia derivano dall’analisi della diffusione alveolo-capillare e della capacità vitale. La capacità polmonare totale è molto utile nella valutazione iniziale. I sintomi più importanti sono tosse, febbre, dispnea, artralgia, perdita di peso, affaticamento, lesioni erimatose della cute,oltre naturalmente ai sintomi specifici di interessamento d’organo (disturbi neurologici,alterazione della funzionalità epatica, alterazione della salivazione, disturbi oculari ecc.).La terapia va impostata solamente in quei casi istologicamente provati in cui sono contemporaneamente presenti l’attività clinica, la compromissione funzionale di malattia e la sintomatologia clinica; negli altri casi l’evoluzione della malattia è spontaneamente autolimitantesi. L’attività clinica della malattia va valutata mediante la scintigrafia polmonare con 67 Gallio e la valutazione dell’intensità dell’alveolite linfocitaria sul fluido di BAL, effettuato in corso di broncoscopia. La compromissione funzionale respiratoria va valutata mediante la dimostrazione di una sindrome restrittiva o da alterazione della DLCO o da desaturazione durante lo sforzo. Nelle sindromi extrapolmonari può essere utile la scintigrafia con 67Gallio estesa all’intero corpo, mentre specifiche sono le compromissione funzionali dei vari organi ( artralgie e disturbi neurologici). I protocolli di terapia comprendono dosaggio di 30-40 mg iniziali, con precoce riduzione a 25 mg/ die di prednisone. Lo steroide andrà ridotto il più precocemente e progressivamente possibile. E buona norma controllare il paziente con periodici follow-up attraverso i vari esami di compromissione funzionale e attività clinica. Dopo 90 giorni di steroide per os (25mg/die) è consigliato il controllo della diffusione alveolo-capillare; qualora fosse significativamente migliorata e i sintomi controllati, sarà plausibile dimezzare il prednisone e proseguire per 90 giorni. Il successivo controllo si potrà effettuare sul fluido di BAL e sé l’alveolite sarà diminuita si dimezzerà lo steroide fino al successivo controllo che comprenderà la scintigrafia con 67Gallio. Qualora, invece, l’alveolite non fosse diminuita, si proseguirà con il medesimo dosaggio di prednisone fino al successivo controllo. Nelle forme croniche in cui la sospensione della terapia induce la ripresa della malattia è opportuno utilizzare cronicamente la più bassa dose di steroide possibile, sufficiente a non indurre progressione di malattia. Tale atteggiamento va tenuto soltanto sei tentativi con steroidei sono stati correttamente effettuati.